venerdì 18 luglio 2008

Postfazione al Libro degli Amici (di Gabriella Bemporad)

Riteniamo utile riportare senza alcun commento la bella postfazione di Gabriella Bemporad.

In pochi paragrafi si delineano intenzioni, qualità e stile di Hugo von Hofmannstahl, nel momento in cui decise di pubblicare questo libro.


“Il libro degli amici contiene serene parole di amore e simpatia

che in certe circostanze vengono offerte a persone amate e stimate,

solitamente al modo persiano con i margini arabescati d'oro.”


Questo libro che pubblichiamo per la prima volta... va inteso come un dono ai lettori.

In una prima forma e in misura ancora ristretta, esso attua un sogno accarezzato per tutta la vita da HvH fin da vent'anni prima.

Tutto il libro, fa notare uno dei suoi più cari amici, ha il carattere di un colloquio: grandi spiriti di una medesima nobiltà, di un passato recente come di uno lontano, voci di una comunità di popoli e di culture che abbracciano tutto il mondo, prendono parte alla conversazione. Essa si estende a tutti gli oggetti della vita interiore, interviene l'artista, il poeta con i suoi particolari travagli e problemi, ma anche l'uomo politico, sì, anche l'uomo di mondo, apportano la loro esperienza. Il colloquio fa luce negli abissi del cuore umano come negli abissi di ciò che nell'intero resta eternamente inconoscibile, nel particolare mai del tutto decifrabile, che ci circonda così dentro che fuori come l'infinito involucro di un tutto finito. Il volo si leva alle più alte vette dell'etica e della conoscenza, per subito indugiare con amichevole partecipazione su ciò che in apparenza è insignificante, in apparenza quotidiano, ma tutta la conversazione è condotta in forma così delicata, così socievole, da premettere raramente all'uno o all'altro degli interlocutori di spiccare sugli altri.

Se tale è l'ambiente del libro, si intende che in considerazioni fatte in tale urbana conversazione, tra amici di pari grado, l'affermazione, anche la più sicura e meditata, non sia mai dura, recisa, il tono mai autoritario, la propria opinione, di più, la propria verità, mai imposta, la penetrazione profonda, mai tagliente, e che anche quando si indulga al sorriso, si disdegnino i figli spuri dell'aforisma, la frecciata e la caricatura, e neppure vi trovi posto - possibilità aforistica di altri grandi scrittori moderni - ciò che turba o sconvolge senza subito additare una riva.

Anche in questa conciliazione, che non è mai senza rinunce, tra i domini profondi solitari e la compagnia tra gli uomini, tra l'inesprimibile e della comunicazione aperta (ai problemi della comunicazione della parola le sue opere hanno cercato sempre nuove soluzioni), HvH appare il conciliatore garbato ma incorruttibile, l'ambasciatore - e perciò necessariamente mondano - di regni non mondani.

Egli trattò i misteri della comunicazione umana; ripeterà che ogni nuova conoscenza importante determina una scomposizione e una reintegrazione e può persino provocare una palingenesi, dirà - singolare eco di mistiche lontane - che da un incontro tra due individui nasce un essere,un demone.

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